Umanizzare la cura dal film L’ultimo turno

Scritto il 25 Novembre 2025

festival gentilezzaSono stato tra i relatori del Festival della gentilezza tenutosi il 13, 14, e 15 settembre a Firenze (nella foto). Quando Daniela Oliboni (Ceo di Hermes Consulting) mi ha chiesto “come può la scuola aiutare gli insegnanti ad entrare in empatia con i ragazzi” ho pensato ai film, e alla capacità che hanno di farci innamorare anche dei personaggi più cattivi.

Abbiamo amato Gollum (Il Signore degli anelli) , Joker, Darth Vader (Star Wars) , e li abbiamo amati perché lo schermo ci ha raccontato le loro storie. Non esiste letteralmente un solo personaggio in un film di cui è impossibile innamorarsi una volta ascoltata la sua storia. Quando conosciamo le ferite degli altri, le sofferenze trascorse, immediatamente il cinismo e l’odio lasciano spazio all’empatia.

Se la scuola mettesse a disposizione uno spazio di ascolto in cui l’alunno possa raccontarsi senza giudizio, io credo che l’empatia sorgerebbe come lo stato naturale delle cose. Non servono tecniche.

Leggevo tempo fa un’intervista a Tim Urban (autore americano) durante la quale disse:   

“Gli esseri umani possono provare odio per i propri simili solo se riescono mentalmente a spogliarli della loro natura umana. Non appena ci viene esposta la realtà e riconosciamo la piena umanità di qualcuno che odiamo, di solito l’odio svanisce, sostituito dall’empatia”

Ci occorre spazio, tempo per conoscerci. Ma sembra quasi un ossimoro in una società che corre sempre più veloce.

Durante il Festival si è parlato anche di umanizzazione della cura, di quanto sia importante oggi vedere il paziente come un essere umano e riconoscere l’anima prima della malattia. Ho potuto apprezzare l’intervento di relatori illuminati, antesignani di pratiche ancora osteggiate dalla medicina tradizionale, come la musico-terapia, l’arte-terapia, l’ayurveda, la medicina olistica e cinese. Tutte pratiche esistenti migliaia di anni fa, arrivate a noi nonostante veti e sabotaggi. Come dice Naval Ravikant nel suo almanacco “più antica è la sofferenza, più antica dovrebbe essere la cura”, e la cura più antica di tutte è quella dello spirito, curando questo, molte malattie del corpo scompaiono.

Tornato a casa dopo questa intensa esperienza (per la quale ringrazio infinitamente Anna Maria Palma, organizzatrice del Festival ed esempio coerente e concreto di gentilezza) mi ritrovo a vedere un film sullo stesso mood, ancora a conferma che quando vibriamo su certe frequenze emotive per risonanza attiriamo tutto ciò che è in linea con quelle frequenze.

Infatti “L’ultimo turno” è un film su questo. Sull’empatia, sulla cura, la gentilezza, senza le quali l’uomo, proprio come un fiore senz’acqua, appassisce.

In questo film c’è tutto. La forza di chiedere scusa, la capacità di non flagellarsi per i propri errori, la scelta di una condotta morale. Ma soprattutto il grande insegnamento per noi, ovvero l’impegno a restare umani.

La scena che ho scelto è rappresentativa di quest’ultimo tema, ma vale la pena guardare l’intera opera e lasciarsi attraversare dalle emozioni perché “L’ultimo turno” può donarci prospettive preziose sul valore della cura.

Floria lavora in un ospedale, sottorganico, con solo due infermieri a presidiare un intero reparto. Mentre conosciamo le storie dei personaggi ci accorgiamo di quanto sia realisticamente difficile questa professione. Per lei è un lavoro, ma prima di tutto una vocazione, glielo leggiamo negli occhi e lo sentiamo nel magone, quando delicatamente porge l’ultimo saluto a una paziente, con qualche senso di colpa.

Ebbene, dopo aver visto questo film non riesci più a condannare nessuno: affiora solo una silenziosa empatia per i malati, per i loro familiari, per gli infermieri e per i medici. È un film “all-in”, non duale, che ti accompagna dentro la realtà dura della malattia, della cura, del lavoro… direi della vita. Eh sì, perché la vita, ahimè, è difficile. Prima lo accettiamo, prima possiamo migliorarla.

Partiamo da qui: la vita è difficile. Ma è anche un’esperienza straordinaria.

Film come questi hanno il potere di riconciliarci con quello che “spesso” non funziona. La sanità pubblica è al collasso, vero. Molti infermieri esercitano la professione per lo stipendio, vero. Molti medici sono cinici e disumani, vero. Ma è anche vero il contrario. Ed è anche vero che stiamo perdendo la buona abitudine di metterci nei panni degli altri.

È così che il cinema ci insegna a vivere:
non offrendoci storie perfette, ma ricordandoci che dietro una reazione c’è un mondo invisibile.

Se vuoi provare un piccolo esercizio che vale per tutti, e che dura meno del tempo di un respiro, eccolo qui:

👉 Il Rituale dei 3 Minuti (Guarda – Senti – Umanizza).

  • Pensa a una persona che ti ha messo alla prova con un suo comportamento scorretto
  • Immagina la sua storia come se fosse un film, chiedendoti : qual è la ferita che porta dentro?
  • Chiediti: posso fare un gesto gentile?

Non serve altro. Anzi forse ..si, guardare prima “L’ultimo turno”.
È così che si ricostruisce l’empatia: un piccolo atto di umanità alla volta.

Ci rivediamo in giro

Virginio

p.s.: se ti interessa esplorare il mondo delle emozioni, ma soprattutto come entrare in relazione con la parte più autentica di te. Il mio ultimo libro lo trovi anche qui >>> Filmatrix Infinity  






5 Commenti a "Umanizzare la cura dal film L'ultimo turno"

  • Debora Scacco
    2 Dicembre 2025 (17:58)
    Rispondi

    Virginio ti ringrazio moltissimo per questo immenso contributo.
    Mia mamma è malata di Alzheimer ed è in una casa di cura.
    Questa scena mi ha toccato moltissimo, ci sono degli operatori più empatici e più sensibili, ma io capisco che lavorare ogni giorno con la malattia mentale non è sempre facile.

    Grazie!

    • Virginio De Maio
      3 Dicembre 2025 (8:41)
      Rispondi

      cara Debora alcuni riescono a portare luce, altri fanno quello che possono. Ma dietro tutto questo c’è una verità che troppo spesso non ci diciamo:chi accompagna un genitore in questa malattia è già un eroe, ogni giorno. E sappi questo: anche quando sembra che non ti riconosca, qualcosa di te — un tono di voce, una presenza, un gesto — arriva sempre. L’anima non perde nulla.
      Un abbraccio grande,
      Virginio

      • Debora Scacco
        3 Dicembre 2025 (11:46)
        Rispondi

        Grazie di cuore Virginio! E’ proprio come hai descritto tu, è difficile e doloroso accompagnare la propria mamma in questa malattia, è come vivere un lutto perchè la persona che c’era prima non c’è più. Ho impiegato tempo ad accettarlo, ma piano piano sto portando luce non sulla perdita, ma su quello che della mia mamma c’è ancora. I suoi sorrisi, la sua allegria, il suo amore.
        Un abbraccio!

  • Stella
    2 Dicembre 2025 (19:33)
    Rispondi

    Buonasera . grazie Virginio,
    ero presente al festival della gentilezza a Firenze,
    è stata una esperienza emozionante .
    sia ,il panel , Risorse innovative per una scuola gentile,
    che quello su Luci e ombre nell’ educazione :
    Fiabe, Cinema, e Teatro come strumenti di trasformazione.
    Riuscire a portarli nella scuola e
    coinvolgere i ragazzi sarà grande una missione
    e una esperienza straordinaria.
    grazie per la tua generosità e per l’ impegno che metti in tutto quello che fai.
    Stella

    • Virginio De Maio
      3 Dicembre 2025 (8:44)
      Rispondi

      Hai proprio ragione Stella, portare tutto questo nella scuola è una missione, una chiamata, un atto d’amore.
      Se riusciamo a far vibrare un ragazzo, a fargli vedere una scena e dire “quella è la mia vita”, allora abbiamo già aperto una porta.
      Grazie davvero per la tua presenza, per le tue parole e per la sensibilità con cui hai accolto ciò che abbiamo condiviso.
      Spero di rivederti presto, magari in una delle prossime tappe del nostro cammino gentile.
      Un abbraccio,
      Virginio


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